Editoriali

Alcune riflessioni sul (futuro?) concordato liquidatorio giudiziale

Il disegno di legge approvato dalla Camera dei Deputati il 1° febbraio 2017 e trasmesso al Senato il 3 febbraio 2017 e avente ad oggetto “Delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza” dedica al concordato liquidatorio giudiziale il comma 10 dell’ art. 7 (Procedura di liquidazione giudiziale … “10. Al fine di accelerare la chiusura della procedura di cui al presente articolo, sono adottate misure dirette a: … d) disciplinare e incentivare le proposte di concordato liquidatorio giudiziale da parte di creditori e di terzi, nonché dello stesso debitore, ove questi apporti risorse che incrementino in modo apprezzabile l’attivo”) e il comma 3 dell’art. 3 (Gruppi … “3. Nell’ipotesi di gestione unitaria della procedura di liquidazione giudiziale di gruppo devono essere previsti: … d) la disciplina di eventuali proposte di concordato liquidatorio giudiziale, in conformità alla disposizione dell’articolo 7, comma 10, lettera d”).

A seguito di tale riforma, il concordato liquidatorio giudiziale prenderà il posto del concordato fallimentare, già profondamente modificato a seguito della riforma del 2006, mantenendo la finalità di consentire la prosecuzione e il salvataggio di imprese ancora vitali; la ridistribuzione delle perdite fra i creditori; la chiusura della procedura di liquidazione giudiziale, destinando risorse pubbliche allo svolgimento di altre attività; il rientro in bonis del debitore.

 

Rispetto al concordato fallimentare, la disciplina del concordato liquidatorio giudiziale presenterà alcuni elementi di discontinuità.

Il primo è di carattere terminologico: il legislatore ha sostituito il termine “concordato fallimentare” con “concordato liquidatorio giudiziale”, in linea con il principio sancito all'art. 2, comma 1, lett.  a) del ddl, che dispone: “…il Governo provvede a riformare in modo organico la disciplina delle procedure concorsuali attenendosi ai seguenti princìpi generali: … «a) sostituire il termine «fallimento» e i suoi derivati con l’espressione «liquidazione giudiziale”.

Il secondo elemento di discontinuità riguarda le condizioni per la presentazione della domanda di concordato liquidatorio giudiziale da parte del debitore. In particolare, viene confermata la legittimazione ad agire del fallito (il ddl non dice niente sulle società cui il fallito partecipi o società sottoposte a comune controllo, anche se non vedo ragioni per escludere che quanto previsto ora dall’art. 124 l. fall.  venga confermato) come pure quella di terzi.

 

Tuttavia, il debitore che voglia proporre il concordato liquidatorio giudiziale ai propri creditori sarà tenuto ad apportare risorse che incrementino in modo apprezzabile l’attivo, applicando un principio in parte simile a quello previsto dal ddl con riguardo al concordato preventivo liquidatorio. Spetterà al legislatore delegato, ove il ddl venga approvato, decidere se l’incremento ora indicato debba essere determinato in una percentuale fissa rispetto all’attivo disponibile (in linea con quanto accaduto, ad esempio, per le azioni revocatorie di cui all’art. 67, comma 1, n. 1, l. fall.) oppure se debba essere lasciata al tribunale la valutazione, caso per caso, se l’incremento dell’attivo sia apprezzabile o meno. Personalmente ritengo che l’introduzione della prima soluzione potrebbe creare barriere all’utilizzo del concordato liquidatorio giudiziale e all’ottenimento dei benefici che esso comporta e, di conseguenza, vedrei con un occhio di maggior favore una soluzione che lasci al tribunale una valutazione caso per caso.

In linea con l’attuale disciplina del concordato fallimentare, il ddl conferma la legittimazione di terzi (e, quindi, anche creditori) a presentare una domanda di concordato liquidatorio giudiziale, anche contro la volontà del debitore, ribadendo, pertanto, l’esclusione del monopolio del debitore nella presentazione della domanda di concordato, prevista dalla normativa fallimentare del 1942. Pertanto, i terzi potranno ingerirsi legittimamente in una crisi altrui, nell'interesse generale (Cass. n. 6904/2010), vuoi come assuntori del patrimonio del debitore, vuoi come partecipi del processo di ristrutturazione, sottoscrivendo aumenti di capitale, prestiti obbligazionari convertibili oppure prendendo parte a operazioni di fusione o operazioni straordinarie.

Per incentivare l’intervento di terzi, il ddl consente che essi, a differenza del debitore, possano proporre un concordato liquidatorio giudiziale senza apportare “risorse che incrementino in modo apprezzabile l’attivo”. Vantaggio che si aggiunge a quelli previsti attualmente dalla disciplina del concordato fallimentare, che consente ai terzi di proporre la domanda di concordato liquidatorio giudiziale in ogni momento, al contrario del debitore (il debitore, come noto, deve formulare la sua proposta in una finestra temporale ben definita, al fine di evitare condotte opportunistiche); come pure di formulare un'offerta anche solo ai creditori concorsuali, escludendo  quelli non ancora divenuti concorrenti, ovvero i creditori che non si siano insinuati al passivo.

La scelta operata dal ddl - in linea con quella del legislatore della riforma del 2006 per il concordato fallimentare - è finalizzata a sviluppare il mercato delle imprese insolventi, ma  ancora in grado di generare ricchezza, che proseguono la loro attività a seguito dell’autorizzazione all'esercizio provvisorio o grazie a un contratto di affitto di azienda; e a incentivare (non a caso, del resto, il ddl fa riferimento non solo alla “disciplina”, ma, altresì, agli “incentivi” per le proposte di concordato liquidatorio giudiziale da parte di creditori terzi e del debitore) la liquidazione unitaria del patrimonio del debitore da parte di terzi (la Cassazione, non a caso, definisce il concordato fallimentare come “strumento di investimento”, v. Cass. n. 6904/2010), e, quindi, l’espansione del mercato dei concordati liquidatori giudiziali (come già accaduto per i concordati fallimentari, soprattutto quando le procedure fallimentari riguardavano imprese dichiarate fallite prima dell’entrata in vigore della riforma del 2015 che ha notevolmente contenuto la portata delle azioni revocatorie fallimentari nei confronti degli istituti di credito).

 

La normativa ora descritta  renderà, a maggior ragione, legittime le aspettative dei terzi che utilizzano tale strumento per ottenere un vantaggio economico.

Tale vantaggio, tuttavia, dovrà, anzitutto, essere ragionevole, e non potrà pregiudicare l’interesse del debitore a non vedersi abusivamente spogliato del suo patrimonio. Fattispecie che la giurisprudenza ha riconosciuto laddove il terzo presenti domanda di ammissione alla procedura di concordato per acquisire beni a un valore sensibilmente inferiore rispetto al valore della totalità dei debiti (Cass. n. 24359/13; Cass. n. 16738/11; Cass. n. 3274/11; Cass. n. 690/10; Cass. 12 febbraio 2010, n. 3327/10), nonostante l’approvazione della proposta da parte dei creditori (approvazione incentivata dal meccanismo del c.d. silenzio-assenso in sede di espressione del voto da parte dei creditori ).

L’interesse del terzo, parimenti, non potrà prevalere su quello del debitore, in presenza di proposte di concordato concorrenti che consentano risultati equivalenti per i creditori, anche alla luce dei principi stabiliti dalla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo (l’art. 1 del Protocollo n. 1, Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) espressamente tutela il debitore rispetto ad illegittimi e non giustificati spossessamenti del proprio patrimonio).

 

 

 

*Le presenti riflessioni sono state espresse al convegno tenutosi a Monza lo scorso 26 settembre sul tema “La soluzione della crisi d’impresa: commenti e note operative sulla riforma Rordorf”.

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