Nel concordato preventivo manca un provvedimento di stabilizzazione del passivo, con la conseguenza che nella fase esecutiva si viene a porre la questione del riconoscimento dei crediti vantati nel confronti del debitore (cfr., per tutti, Cass. 18 giugno 2008, n. 16598).
Nell’impostazione corrente - sia in giurisprudenza (cfr., di recente, App. Roma, 24 maggio 2016; Trib. Bergamo, 12 febbraio 2015; Trib. Monza, 3 giugno 2015) che in dottrina (cfr., per tutti, G. Bozza, La fase esecutiva del concordato preventivo con cessione dei beni, in Fall., 2012, 779; C. Trentini, Ripartizioni disposte con l’omologazione e rimedi a favore del creditore pretermesso, in Fall., 2016, 216; D. Bruno, I provvedimenti in caso di cessione dei beni nella disciplina riformata del concordato preventivo, in Fallimento e altre procedure concorsuali, diretto da G. Fauceglia e L. Panzani, Torino, 2009, 3, 1780; G. Pizzoli, La liquidazione nel concordato preventivo, in Trattato delle procedure concorsuali, diretto da L. Ghia – C. Piccininni – F. Severini, IV, 2011, 554.) - si tende a ritenere che la revisione dei crediti rientri nelle prerogative del liquidatore giudiziale (rectius, concordatario), che - nel rispetto della legge - avrebbe piena autonomia nel (ri)determinare importo, natura e grado dei crediti da soddisfare.
A mio avviso tale impostazione merita di essere riconsiderata sulla base dei seguenti argomenti.
1. La domanda di concordato è, ai sensi dell’art. 161 l. fall., corredata da un elenco dei creditori (comma 2) nonché da una relazione di attestazione circa “la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo” (comma 3), che comporta la responsabilità, anche di ordine penale, del professionista che l’ha redatta.
Ora, da parte della Corte di Cassazione (cfr., per tutti, Cass. 31 gennaio 2014, n. 2130; Cass. 23 giugno 2011, n. 13817; Cass. 29 ottobre 2009, n. 22927) è stato evidenziato che “la veridicità dei dati non si identifica affatto con la fattibilità del piano di concordato, ma costituisce il presupposto indispensabile per consentire ai creditori di valutare sulla base di dati reali la convenienza della proposta e la stessa fattibilità economica del piano”, con l’avvertenza che “i dati aziendale si devono, pertanto, individuare in quelli risultanti dai documenti che devono essere prodotti unitamente al ricorso (art. 161, comma 2, lett. a), b) e d)”, che comprende anche l’elenco nominativo dei creditori (Cass. 30 luglio 2012, n. 13565).
Dunque, l’appostazione (operata dal debitore) dei crediti, positivamente attestata, è destinata a svolgere la sua funzione con riferimento: (i) alla fattibilità giuridica; (ii) alla fattibilità economica; (iii) alla votazione dei creditori.
Va, ancora, considerato che l’elenco dei creditori e la loro appostazione nel piano concordatario è insuscettibile di revisione da parte degli Organi della procedura (art. 176 l. fall.).
Per conseguenza, in punto di diritto, che la ricognizione e determinazione dei crediti è data dal piano concordatario e relativi allegati sia sotto il profilo economico-finanziario sia - salvo diversa determinazione del giudice delegato ai sensi dell’art. 176 l. fall. - sotto il profilo amministrativo.
A ciò si aggiunga che è sulla base della rappresentazione operata nel piano concordatario e relativi allegati che il tribunale dispone la omologa e che, ai sensi dell’art. 184 l. fall., “il concordato omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori alla data di pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso di cui all’art. 161 l. fall.”.
E, se è vero che il concordato preventivo risulta ordinato sul principio di fluidità dell’accertamento del passivo, è altresì vero che la omologa del concordato determina un vincolo in ordine alla riduzione dei crediti, ancorché senza creare un giudicato stante la previsione dell’art. 176 l. fall. (Cass. 25 settembre 2014, n. 20298. In dottrina, cfr., per tutti, S. Ambrosini, L’omologazione del concordato, in Dir. Fall., 2014, I, 528).
Un tale vincolo può spiegarsi solo assumendo che i crediti appostati nel piano concordatario possano essere rideterminati a seguito della introduzione di un giudizio avanti all’autorità giudiziaria e, dunque, riconoscendo in capo a quest’ultima una competenza esclusiva a modificare contenuti e termini del concordato omologato.
2. D’altro canto, il principio di fluidità dell’accertamento del passivo non implica né comporta, di per sé, la competenza circa l’accertamento di importo, natura e grado del credito debba essere riconosciuta in capo al liquidatore concordatario tenuto conto che l’art. 176 l. fall. attribuisce all’autorità giudiziaria ordinaria la competenza a determinarsi in ordine alla “sussistenza dei crediti” e, almeno in via di principio, non può essere esclusa una competenza a revisionare, in caso di contestazioni, l’appostazione dei crediti in capo al debitore quale titolare dei beni da dismettere (vedi, tuttavia, infra).
3. A fronte di un impianto normativo che (nei termini sopra sintetizzati) attribuisce un precipuo valore giuridico alla appostazione dei crediti operata dal debitore, quale può, dunque, essere la fonte del (ritenuto) potere del liquidatore concordatario di revisionare i crediti?
Sia la giurisprudenza teorica che quella pratica convengono che il liquidatore concordatario è chiamato a dare attuazione ad un mandato, discutendosi solo se possa essere considerato un mandatario ex art. 1723 c.c. nell’interesse dei creditori (cfr. Cass. S.U., 27 luglio 2004, n. 14083) ovvero se sia organo di giustizia, ausiliario del tribunale, (M. Fabiani, La “programmazione” della liquidazione del concordato preventivo da parte del debitore e la natura delle vendite concordatarie, in Fallimento, 2012, 912).
Ora, l’art. 182, 2 comma, l. fall. opera un rinvio all’art. 38 l. fall. relativo alla responsabilità del curatore, a seguito del quale il liquidatore concordatario “adempie ai doveri del proprio ufficio, imposti dalla legge o derivanti dal piano di liquidazione approvato, con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico”. Da una lettura congiunta degli artt. 182, 2 comma e 28 l. fall. emerge come nessuna norma autorizzi il liquidatore concordatario a revisionare il piano concordatario, che è chiamato ad attuare (in tal senso cfr. M. Fabiani, La “programmazione”, cit., 912, che ammette, però, la revisione con riferimento al solo regime della concorsualità). Al liquidatore compete certamente, prima di procedere con i pagamenti, accertare che, nelle more, i crediti non siano già stati saldati (anche in parte); che non sia possibile eccepire compensazioni ovvero che non siano state introdotte contestazioni in sede giudiziale, ma in carenza di una espressa previsione di legge non può che dubitarsi che abbia il potere di revisionare i crediti quando, ai sensi dell’art. 176 l. fall., detto potere è estraneo alle competenze degli stessi Organi della procedura, dovendo le contestazioni sui crediti essere fatte valere dal titolare introducendo un giudizio di cognizione.
A ciò si aggiunga che la stessa portata della legittimazione passiva del liquidatore concordatario nei giudizi in ordine all’accertamento del credito è ampiamente discussa, risultando per converso pacifico che il giudizio deve essere sempre introdotto rispetto al debitore (cfr. Cass. 11 agosto 2000, n. 10738; Cass. 13 aprile 2005, n. 7661; Cass. 5 settembre 2014, n. 18755).
A ben vedere, la configurazione del debitore quale parte necessaria è incompatibile con la attribuzione di una competenza esclusiva del liquidatore nella regolazione dei crediti quantomeno con riferimento a quelli litigiosi. E tenuto conto che l’intero passivo può essere oggetto di controversia, c’è da chiedersi come sia possibile postulare una competenza del liquidatore in ordine a crediti di cui non ha la piena/esclusiva disponibilità.
4. Nel caso di concordato con cessione dei beni ai creditori, l’art. 182 l. fall. prevede che, con il decreto di omologa, il tribunale “determina le altre modalità della liquidazione”. Si tratta di un potere suppletivo (Cass. 20 gennaio 2011, n. 1345), peraltro contenuto non già nella disciplina a carattere generale della omologazione, ma in quella specifica del concordato con cessio bonorum. A mio avviso, lascia perplessi la possibilità che il potere di revisionare i crediti possa essere attributo al liquidatore dal Tribunale ai sensi dell’art. 182 l. fall. quando detta competenza non rientra nelle prerogative degli Organi della procedura in pendenza della stessa, anche perché non appaiono immediatamente evidenti le ragioni per le quali la soddisfazione dei creditori dovrebbe essere diversamente regolata a secondo che le risorse da impiegare discendano dalla dismissione del patrimonio ovvero dall’attività di impresa (in tema si veda Trib. Roma, 26 maggio 2015, ined., che, avendo riguardo ad un piano concordatario c.d. chiuso, ha ritenuto che “non ritraendosi somme destinate al pagamento dei creditori concordatari dalla liquidazione di alcun bene, non è necessario procedere alla nomina di un liquidatore”, disponendo che il debitore “ripartisca ai creditori concorsuali le somme disponibilità, secondo la tempistica risultante dalla proposta concordataria omologata, sulla base di uno o più piani di riparto vistati dai commissari giudiziali e successivamente depositati in cancelleria”).
5. Alla luce delle considerazione sopra svolte, a mio avviso, nella fase esecutiva è al debitore che può essere riconosciuta la competenza a rideterminare misura, natura e grado del credito sulla base di eventuali contestazioni del titolare e/o delle rilevazioni del commissario giudiziale e, dunque, anche a prescindere da una pronunzia giurisdizionale.
Tale competenza trova giustificazione, da un canto, nella carenza di norme che la attribuiscano al liquidatore e, dall’altro, in ragione della riconosciuta legittimazione passiva nei giudizi di cognizione e nel mantenimento della titolarità del beni e dei rapporti attivi e passivi (cfr. Cass. 12 maggio 2010, n. 11520, cit.), la cui amministrazione è rimessa al liquidatore concordatario ai soli fini liquidatori.
Tale competenza incontra, tuttavia, rigorosi limiti in quanto anche il debitore è vincolato ai termini di appostazione dei crediti operata nel piano concordatario omologato e, per conseguenza, un potere di revisione potrebbe ritenersi consentito solo nei termini in cui sia stato espressamente previsto nel piano medesimo in ordine a singoli crediti ovvero a specifiche categorie di crediti e, in ogni caso, nei limiti della capienza di eventuali fondi rischi a tal fine appostati.
In difetto, è solo la sentenza del giudizio di cognizione che ha il potere di modificare quanto riconosciuto e previsto nel piano concordatario, altrimenti definitivamente stabilizzato con la omologa.
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