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Debitore e stato di impotenza economico-finanziaria, non transitoria: sussiste lo stato di insolvenza

La dichiarazione di fallimento trova il suo presupposto nello stato d’insolvenza del debitore, il cui riscontro prescinde da un’indagine sull’effettiva esistenza dei crediti fatti valere, essendo sufficiente l’accertamento di uno stato di impotenza economico-finanziaria, non transitoria, idoneo a privare il debitore della possibilità di far fronte, con mezzi ordinari, ai propri debiti. E’ questo il principio, conforme alla giurisprudenza di legittimità, espresso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 25961 del 5 dicembre.

La fattispecie - Due creditori si rivolgevano disgiuntamente al Tribunale per ottenere la dichiarazione di fallimento di una comune debitrice, imprenditore commerciale medio grande. Le domande venivano accolte e, rilevato lo stato di grave dissesto economico della società e l’incapacità di adempiere regolarmente alle obbligazioni, veniva dichiarato il fallimento. Decisione confermata in appello e controversia che finiva in Cassazione, su impulso della debitrice fallita.

Crisi finanziaria, scarso volume d’affari e indebitamento costante verso banche e fornitori: così i giudici hanno giustificato la dichiarazione di fallimento - La decisione dei giudici di merito di addivenire ad una dichiarazione di fallimento appare giustificata da un’attenta analisi delle risultanze contabili della società debitrice, dalle quali è emersa una situazione di crisi finanziaria. L’impresa, infatti, versava nella condizione di impossibilità di adempiere alle proprie obbligazioni, dato lo scarso volume d’affari e il costante alto indebitamento verso banche e fornitori. Da tali elementi, e dalla sostanziale insussistenza di liquidità di cassa, i giudici hanno tratto la conclusione di uno stato di insolvenza, determinante ai fini della dichiarazione di fallimento, e non di una difficoltà momentanea e transitoria, come sostenuto invece dalla ricorrente.

Per configurare lo stato di insolvenza basta la situazione di incapacità del debitore di fronteggiare le proprie obbligazioni con mezzi ordinari - La Corte territoriale, insomma, ha accertato, con motivazioni esaustive ed esenti da vizi logici, la sussistenza dello stato di insolvenza della debitrice: esso, infatti, secondo la S.C. è configurabile anche in assenza di protesti, pignoramenti e azioni di recupero dei crediti, perché è semplicemente «la situazione di incapacità del debitore a fronteggiare con mezzi ordinari le proprie obbligazioni a realizzare quello stato» di insolvenza, secondo quanto disposto dall’art. 5 l. fall.

Il riscontro dello stato di insolvenza prescinde dall’indagine sull’effettiva esistenza dei crediti fatti valere - Anche l’ulteriore motivo di ricorso si rivela infondato: contrariamente a quanto sostiene la società debitrice, infatti, ai fini del riscontro dello stato di insolvenza, presupposto per la dichiarazione di fallimento, non è necessario raggiungere la piena prova sulla consistenza dei crediti fatti valere dagli istanti: è sufficiente, al contrario, l’accertamento di uno stato di impotenza economico-patrimoniale, nei termini supra specificati.

Si può chiedere il fallimento anche con crediti non certi, liquidi o esigibili - Il debitore può provare l’inesistenza o l’estinzione dei crediti azionati. La prova cui è tenuto il creditore attiene, quindi, alla propria legittimazione ad agire. La S.C., sul punto, richiama una consolidata giurisprudenza di legittimità in base alla quale sussiste la legittimazione «di tutti coloro che vantano un credito ancorchè non necessariamente certo, liquido od esigibile, ovvero non ancora scaduto o condizionale». Resta la facoltà, per il debitore, di provare l’inesistenza o l’estinzione del credito azionato: evenienza che non si è verificata nel caso di specie.

Il ricorso viene, quindi, rigettato.

 

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