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Concordato con continuità aziendale (nella legge fallimentare)

Sommario

Inquadramento | L’innovazione legislativa del 2015 | Le prescrizioni normative dell’art. 186-bis l. fall: fattispecie concrete e disciplina | (Segue) I requisiti del piano, gli oneri di attestazione e le agevolazioni | (Segue) In particolare: le interferenze del nuovo codice dei contratti pubblici | La questione dell’affitto di azienda | La prospettiva della Raccomandazione CE 12 marzo 2014 | Riferimenti |

 

    Il concordato preventivo “in continuità” era già noto nella pratica ben prima del suo riconoscimento legislativo ad opera dell’art. 33 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83 (conv. con modif. in L. 7 agosto 2012, n. 134), ma veniva comunemente inteso, nelle non frequenti ipotesi in cui concretamente si proponeva (stante la difficoltà di mantenere il going concern allorché il patrimonio netto risulti azzerato da debiti e perdite), come tipo di concordato volto al risanamento aziendale per lo più in forma diretta, mediante la prosecuzione dell’esercizio dell’attività da parte del medesimo imprenditore e la generazione di flussi di cassa sufficienti, insieme alla liquidazione dei cespiti non più funzionali, a rimborsare parzialmente i creditori in un certo arco temporale. Non aveva, tuttavia, una specifica regolamentazione propria e quella contenuta nell’art. 182 (dettata per le ipotesi di cessione dei beni) non si attagliava a disciplinarne le peculiarità.   Con l’introduzione nella legge fallimentare dell’art. 186-bis, in una posizione sistematica per la verità poco comprensibile (il Capo VI dedicato all’esecuzione e alla risoluzione del c.p.), il legislatore del 2012 (precedente legislatura) ha inteso offrire agli operatori uno strumento processuale più duttile e a più ampio spett...

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